Il tema della salute mentale degli atleti sta ricevendo sempre più attenzione internazionale.
L’icona del nuoto, Michael Phelps, lo dichiarò via twitter “Ho combattuto con l’ansia e la depressione e con il pensiero di farla finita”. Quelli prima dell’Olimpiade del 2016, che lo incoronò leggenda con le sue 28 medaglie di cui 23 d’oro, furono i suoi anni più duri: “E' lì che ho deciso di chiedere aiuto. E’ stata la scelta che mi ha cambiato la vita. Non dovete aspettare a chiedere aiuto”.
Alexi Pappas, mezzofondista e siepista statunitense, dichiara: “Dopo le Olimpiadi del 2016, mi fu diagnosticata una grave depressione clinica che mi costò quasi la vita. Correvo 190km alla settimana e dormivo un ora a notte. Mio padre mi fece vedere da uno psichiatra che mi aiutò a uscire da questa situazione. Gli atleti d’elite si concentrano solo sul trattamento degli infortuni fisici, nella mia carriera non ho mai avuto un sostegno dal punto di vista mentale. E se guardassimo alla salute mentale nello stesso modo di quella fisica?” (fonte atletidisagiati.it)
DeMar DeRozan, giocatore NBA, lo rivelò nel 2018 tramite un tweet: “This depression get the best of me...”. In un’intervista commenta “Non importa quanto dall’esterno sembriamo indistruttibili, alla fine siamo essere umani. Tutti proviamo sentimenti”. L’annuncio pubblico del giocatore portò sul tavolo del basket statunitense il delicato tema della salute mentale negli atleti. In quell’anno i vertici dell’NBA introdussero la figura di uno psicologo terapeuta nell’organigramma.
Il tema della salute mentale degli atleti sta ricevendo sempre più attenzione internazionale.
I problemi di salute mentali più diffusi nella popolazione degli atleti d'elite riguardano: il consumo di alcool, ansia e depressione, stress intenso, disturbi del sonno e disturbi del comportamento alimentare.
Dalle ricerche emerge come alcuni particolari tratti di personalità che sono alla base del successo sportivo, siano anche alla base di problemi di salute mentale.
Tra questi il perfezionismo, ovvero la propensione a porsi standard di prestazione molto elevati associati ad autovalutazioni critiche. Se da una parte il perfezionismo può avere risvolti funzionali, motivando l’atleta al miglioramento continuo, potrebbe risultare un fattore di rischio se pervasivo, rigido, totalizzante che porta l’atleta a meccanismi di evitamento. Il perfezionismo è fortemente correlato con i disturbi alimentari negli atleti.
L’identità di atleta è un altro fattore importante ed indica il grado con cui la persona si identifica nel proprio ruolo di atleta e viene riconosciuto come tale. Un’alta identificazione in questo ruolo è associata a migliori prestazioni sportive ma un’identificazione esclusiva, in cui il valore della persona coincide con i risultati ottenuti come atleta, è fortemente rischiosa. Le ricerche mostrano infatti una forte relazione tra quest’ultimo aspetto e l’insorgenza di depressione e l’uso di sostanze dopanti.
Infine, oltre agli aspetti di personalità sopra citati, durante la carriera di un atleta di alto livello, numerosi fattori generici e sport specifici, possono combinarsi tra di loro incrementando, ma anche diminuendo, le fragilità e il rischio di sviluppare sintomi o disturbi mentali. In generale i fattori ambientali che possono maggiormente incidere sulla salute mentale degli atleti sono: gravi infortuni, infortuni ripetuti nel tempo, numerose operazioni chirurgiche, decremento della performance sportiva sul lungo periodo, lutti e perdite significative.
Dietro alla maschera dell’atleta d’elite forte ed indistruttibile c’è sempre la persona, con le sue fragilità, le sue emozioni, la sua storia, la sua semplicità. Cogliere l’uomo e la donna oltre all’atleta è un dovere di tutti, a partire dagli allenatori fino ai mass media. Non bisogna attendere che le cose si risolvino da sè, chiedere aiuto è un atto di amore verso sè stessi.
Fonti bibliografiche:
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