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Alibi e giustificazioni. Come mai a volte "ce la raccontiamo"?

Il comportamento degli esseri umani si basa su diversi meccanismi, uno dei quali è: evitare il dolore e ricercare il piacere.


Quante volte ricorriamo a delle scuse per giustificare un nostro insuccesso? Come mai ci raccontiamo delle belle storielle quando le cose non vanno come desideriamo?

L’essere umano è biologicamente portato ad evitare situazioni che arrecano dolore fisico, ma anche emotivo. E’ doloroso riconoscere di aver commesso un errore, è frustrante vedere di non essere riuscito a raggiungere un obiettivo. In tutte quelle situazioni in cui l’immagine di sé, ovvero l’idea che abbiamo di noi stessi, si scontra con una realtà che la contraddice, si crea quella frattura dolorosa che puntualmente, molti di noi, cercano di evitare. In che modo? Ricorrendo ad alibi e giustificazioni.


Ognuno di noi avrà un amico, un collega, un compagno di squadra che trova sempre una giustificazione quando non riesce a fare qualcosa. Insomma, capita che a volte ci inventiamo delle belle storielle, per tamponare quella sofferenza che nasce dal constatare la discrepanza tra immagine di sé e realtà sperimentata, e giovare del piacevole sollievo che deriva dalla giustificazione, ripristinando così l’immagine positiva di noi stessi.


Così facendo però alimentiamo circoli viziosi che a lungo termine portano a ristagnarci, non evolvere e non migliorarci. Il cambiamento infatti passa proprio attraverso il riconoscimento delle proprie difficoltà e l’esposizione a situazioni che le possano mettere costantemente alla prova.




Alibi e giustificazioni cosi come perseveranza nel superare i propri limiti sono all’ordine del giorno nel contesto sportivo. Non raggiungere il proprio obiettivo, fare una prestazione non in linea con lo stato di forma, essere battuto dall’avversario storico, ritirarsi durante una gara sono tutte situazioni che generano delusione e frustrazione, sarebbe strano se non fosse così.

Rincorrere ad alibi è trovare quel cerotto che tampona la ferita ma l’uso ricorrente delle giustificazioni porterà la persona ad essere ricoperta di cerotti e avere un corpo pieno di ferite.

L’atleta vincente è quello che si sporca nel dolore della sconfitta, quello che sente per un po’ il dolore delle ferite prima di mettersi al lavoro per ricucirle. L’atleta vincente è colui che si guarda in faccia nei momenti difficili, accetta ciò che è accaduto, riconosce di avere limiti non ancora superati, gira pagina, si rialza e si rimette al lavoro.





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